Questo testo è stato scritto da Giorgio Mezzalira in occasione della Giornata dell’Autonomia, il 5 settembre 2023, a Trento.
Vorrei in premessa esprimere il mio personale apprezzamento per aver dedicato attenzione, nella giornata dell’autonomia che si celebra in Trentino, all’opera di un sudtirolese – Claus Gatterer – che ha speso la sua vita di giornalista e storico per approfondire, leggere criticamente e comunicare le ragioni dell’autonomismo, dell’autogoverno, della tutela dei diritti delle minoranze.
Gatterer è a buon diritto considerato il capostipite della nuova storiografia in Sudtirolo, uno spirito liberale, aperto al dialogo e per nulla prigioniero – lui, ma anche il suo approccio alla storia – di preconcetti ideologici. E’ stato la coscienza critica del Sudtirolo e a lui hanno fatto riferimento storici come Leopold Steurer, intellettuali e politici come Alexander Langer, più in generale coloro che, da posizioni autonomiste, esprimevano il proprio dissenso nei confronti delle derive etnocentriche dell’autogoverno locale.
Gatterer nacque a Sesto in Pusteria alla confluenza del mondo ladino, tedesco, italiano e sloveno. La sua provenienza di confine lo rese sensibile ai complessi problemi della convivenza di persone con diverse lingue e culture. Crebbe negli anni del fascismo, conobbe il volto del potere di un regime che affossò l’identità sudtirolese e con le opzioni – lui e la sua famiglia furono Dableiber – si trovò a essere il rappresentante di una minoranza nella minoranza. Come ebbe a dire lo storico Enzo Collotti, la sua naturale predisposizione a schierarsi con le minoranze e i più deboli, non era un’inclinazione ma proveniva quasi naturalmente da questo suo vissuto.
Del confine – la cui linea sappiamo è chiamata a semplificare la realtà tra un dentro e un fuori, tra un amico e un nemico – Gatterer coglieva al contrario la complessità e le mistificazioni di una storia che rimaneva ingabbiata nelle ragioni del “noi” e i torti degli “altri”. Il suo interesse per i “Grenzgänger” (attraversatori di confine) lo portò a studiare figure quali quelle di Cesare Battisti e Guglielmo Oberdan, ridotte dalle storie patrie a comparire come eroi da una parte e traditori dall’altra. Liberarli dall’immagine preconfezionata del nemico o del martire significava non limitarsi a leggere dentro alla propria storia ma anche in quella degli altri. E fu questo il suo costante e fondamentale esercizio, soprattutto nel cercare di far dialogare la storia di due nemici ereditari: l’Austria e l’Italia, convinto che chi consideriamo nostro nemico conservi una parte della nostra
verità, i nostri buchi neri. Colmarli, alla ricerca della verità, non poteva che condurre – secondo Gatterer – gli uni verso gli altri, favorire il dialogo, eliminare le scorie del nazionalismo.
Favorire il dialogo e la comprensione tra il mondo italiano e quello tedesco, esercitando una funzione di ponte tra le culture e le narrazioni storiografiche, fu il deciso tratto di Gatterer uomo di confine. Mantenne regolari contatti con ambienti culturali e giornalistici italiani. Tradusse in tedesco opere di esponenti del socialismo democratico italiano.
Ebbe modo di esercitare la sua funzione di ponte tra Austria e Italia anche sul terreno politico, in qualità di esperto sulle questioni altoatesine. In quanto persona vicina al Ministro degli Esteri austriaco Bruno Kreisky, che ne apprezzava la competenza, nel 1972 fece parte della delegazione incaricata per le trattative dell’elaborazione del nuovo statuto di autonomia per l’Alto Adige/Südtirol.
Si accostò al pensiero e agli scritti degli esponenti del meridionalismo, del federalismo e del regionalismo italiano: Guido Dorso, Gaetano Salvemini, Carlo Levi ed Emilio Lussu. Dal meridionalista Dorso mutuò lo stesso concetto di “autonomismo”, che costituì la base della sua più importante opera storiografica Im Kampf gegen Rom (1968); un autonomismo – come Gatterer scrisse nella premessa al volume – inteso come autogoverno: “come coscienza civica, come rifiuto di ogni autorità che non sia l’autorità della libertà, come diritto all’autodeterminazione in ogni ambito”. Un autonomismo che egli definisce “rivoluzionario”: “Mira da un lato all’innovazione dello Stato in molti settori, ma dall’altro anche alla modificazione della struttura economica, al superamento delle condizioni paternalistiche che tengono le masse – siamo nel 1968 – lontane sia dall’autogoverno, sia dal benessere”. E continuava: “Se l’autonomismo, nei suoi obiettivi, rimane un principio rivoluzionario, questo non significa che debba ricorrere alla violenza per affermarsi (il richiamo evidente è alla stagione del terrorismo altoatesino); NON NE HA DEL RESTO BISOGNO IN QUANTO HA PER ALLEATA LA COSTITUZIONE CHE DELINEA LE VIE LEGALI CHE CONDUCONO ALLE AUTONOMIE”.
Im Kampf gegen Rom è un’opera edita nel 1968 alla vigilia del varo del Pacchetto e a due anni dall’entrata in vigore – in colpevole ritardo – delle Regioni, ma si sa, come ammoniva lo storico e antifascista Gaetano Salvemini “parlare di autonomismo o federalismo è come suonare la cavalcata delle valchirie a una platea di sordi”. Lui lo scriveva verso la fine del 1945.
Nella scelta di parlare oggi di quest’opera di Gatterer, anziché ripercorrere la storia della vicenda politica e diplomatica che ci riguarda o indugiare verso le figure dei grandi padri dell’autonomia, credo debba essere colta l’occasione per porre l’accento sulla centralità della cultura dell’autonomia, all’impegno che deve essere profuso per farla diventare strumento di conoscenza, formazione e crescita delle coscienze democratiche. E questo duplice aspetto dello studio, della ricerca e della documentazione nei campi larghi dell’autonomismo, da una parte, e dall’altra le finalità pedagogiche cui tale lavoro ambisce, costituisce l’ossatura dell’opera di Gatterer. Nel ricostruire la vicenda delle minoranze linguistiche in Italia e il loro rapporto con il potere centrale, a partire dal Risorgimento e dalle sue tradizioni federaliste fino al secondo dopoguerra, nonché della costituzione delle regioni a statuto speciale, egli compose una prima importante visione d’insieme del pensiero autonomistico che permise tra l’altro di collocare la storia sudtirolese nel più grande contesto nazionale ed europeo e, in tal modo, sottrarla alle anguste prospettive del caso particolare, alle letture storiche parziali e strumentali che da tale impostazione derivavano. Durante la redazione del suo libro, nel 1965, espresse questo suo intento in una lettera a Emilio Lussu, con il quale intrattenne una fitta corrispondenza e che gli fu d’aiuto come protagonista ed esponente dell’autonomismo democratico. Gli scrisse che a suo avviso una delle maggiori deficienze della politica sudtirolese consisteva nel considerare il “suo” problema, quale problema isolato, a sé stante.
Nel seguire un approccio comparativo al tema e impegnato a darne una visione comprensiva Gatterer smontò per la prima volta anche la resistente immagine di un Sudtirolo solo vittima dei regimi; ne emersero i contorni di una realtà complessa e permeabile rispetto ai richiami delle dittature.
“Conoscere per deliberare”, è l’adagio di Luigi Einaudi che si trova in calce alla premessa che Gatterer scrisse per Im Kampf gegen Rom. E conoscere l’autonomismo italiano significò per Gatterer contrastare l’idea che la rivendicazione dell’autonomia fosse espressione di un “provincialismo gretto e fuori dal mondo” – le parole sono le sue – “come ritengono coloro che riescono a figurarsi il progresso solo sotto forma d’una pioggia di manna elargita dal centralismo”.
Dell’autonomismo colse le aspirazioni che si traducevano in volontà di democratizzare il Paese, di resistere alle spinte secessioniste, di contrastare il centralismo, di concorrere a dare massima compiutezza agli articoli 5 e 6 della Costituzione, articoli che volle riportare testualmente nell’introduzione della sua opera. Scoprì dell’autonomismo i filoni democratici e i suoi massimi
esponenti, tra cui – come si è detto – Emilio Lussu. Ricordiamolo: fervente autonomista, antifascista e spedito al confino, fondatore del Partito Sardo d’Azione e di Giustizia e Libertà, più volte parlamentare e ministro nel governo Parri e nel successivo governo De Gasperi, eletto alla Costituente fece parte della Commissione dei settantacinque, incaricata di redigere la bozza della costituzione repubblicana occupandosi in particolare delle autonomie regionali. Colui il quale negli anni del fascismo e in seguito aveva sostenuto la causa della minoranza sudtirolese e offerto la propria collaborazione che i sudtirolesi avevano pressoché ignorato. Di lui Gatterer scrisse – sempre nel 1968 – che la sua vita non era solo storia della Sardegna, ma storia dell’antifascismo italiano ed europeo, storia della nuova e ancora incompiuta Italia democratica. Una sintesi esemplare di ciò che doveva ispirare l’autonomismo.
Quando nel 1994 Alexander Langer accompagnò con un suo intervento l’edizione in lingua italiana dell’opera, venticinque anni dopo la sua prima edizione, parlò di una “doppia lezione” offerta da Gatterer ai sudtirolesi e agli italiani. Per i primi “In lotta contro Roma” sollevava, tra gli altri, il seguente interrogativo: “Perché preoccuparsi solo di garantire e difendere i diritti e la sfera di potere della propria sorte, senza mirare ad un più generale progresso della democrazia, favorevole anche ad altri? Gatterer in fondo – proseguiva Langer – aveva sempre invitato i sudtirolesi a non mettere la loro luce sotto il moggio, per quanto modesta e limitata potesse essere, ma di farla risplendere nel concerto di una più ampia illuminazione democratica ed autonomista”.
Così la lezione di Gatterer era un costante impulso a non considerarsi un caso talmente speciale e sui generis da non essere comparabile ed analizzabile con categorie più universali.
Per gli italiani, invece, era un invito a non considerare le minoranze sul territorio della Repubblica come un impiccio o un penoso grattacapo, ma come una ricchezza e una risorsa nazionale. Piuttosto che coltivare un pregiudizio costante e abitare i luoghi comuni della vulgata nazionalista, Gatterer avrebbe voluto che gli italiani fossero fieri di una eredità storica che aveva permesso a numerose comunità etno-linguistiche minoritarie di sopravvivere nei secoli, avrebbe desiderato che il patrimonio culturale e politico del Paese accogliesse e rivendicasse le istanze delle minoranze e delle autonomie, avrebbe augurato agli italiani – sottolineava sempre Langer – una COSCIENZA MENO NAZIONALE E PIU’ REPUBBLICANA, MENO STATALE E PIU’ LOCALE.
Pur facendo lo storico, non il moralista, e non piegando la storia a semplice supporto di una tesi da dimostrare, l’analisi di Gatterer dell’articolata lotta contro il governo centrale (prima i tirolesi contro Vienna e poi i sudtirolesi contro Roma) componeva – secondo Langer – una sorta di
inventario dell’autonomismo, un campionario delle buone ragioni locali, etno-linguistiche e democratiche contro l’omologazione forzata e la riduzione a periferia, a provincia da governare dal centro.
Emerge con chiarezza da “In lotta contro Roma”, ancora oggi, come l’autonomia costituisca misura e stadio avanzato della democrazia, fondamento di una comunità pluralista, inclusiva e garante dei diritti di tutti, laboratorio europeo come spazio di convivenza tra persone di diverse lingue e culture, che nulla ha a che spartire con l’idea di una moltiplicazione di sovranismi in sedicesimo.
Avviandomi verso la conclusione, si accennava in precedenza al duplice aspetto dell’opera di Gatterer, da una parte lo studio, la ricerca e la documentazione dell’autonomismo italiano, e dall’altra le finalità pedagogiche cui tale lavoro espressamente ambiva.
Lascio che siano ancora le sue parole a illustrare ciò che rimane una lezione, a mio modesto avviso, per chi intenda oggi misurarsi sul piano della conoscenza e della divulgazione su questi temi, senza tralasciare di riflettere sul portato culturale del suo lavoro. Nel rivelare i suoi intenti Gatterer precisava: “il libro si propone di contribuire al superamento degli egoismi etnici e regionali e di incoraggiare quella solidarietà globale che è l’indispensabile condizione preliminare per il successo dell’autonomismo … il tentativo che qui si è intrapreso, di una esposizione estesa nella misura massima possibile – ricordiamo che si tratta di più di 1.500 pagine in cui si prendono in considerazione le vicende di molteplici minoranze etno-linguistiche – pur costringendo a continue trasposizioni mentali e psicologiche, crea anche le premesse necessarie perché il lettore sia posto nella condizione di pensare e di sentire sulla lunghezza d’onda degli altri”.
Non un semplice – tra virgolette – resoconto di una ricerca scientifica, quindi, ma una dichiarazione di impegno nonché un’indicazione di approccio e di metodo buona per chi intende contribuire a una cultura dell’autonomia che sappia nel contempo osservarsi criticamente ed educare alla convivenza.